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ANDREA FERRANTE AIAB

Page history last edited by giordano golinelli 14 years, 1 month ago

Intervista a Andrea Ferrante

presidente AIAB

(Associazione italiana agricoltura biologica)

 

TEMI: agricoltura biologico certificazione cultura diritti fame prezzo sovranita sviluppo valore

 

ASCOLTA

 

Trascrizione

 

Andrea Ferrante: Mi chiamo Andrea Ferrante, sono del ’65, ho 44 anni, sono un agronomo, in famiglia abbiamo un’azienda agricola, facciamo ortaggi e vendita diretta nel sistema di distribuzione nel Viterbese.

Last Food: E basta? Fai solo l’agronomo nella vita…..?

AF: Ah si, sono il presidente dell’AIAB.

LF:Ok, Associazione Italiana…

AF: Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica.

LF:Va bene, dove fate la spesa in famiglia? Cioè il vostro approvvigionamento alimentare, quali sono le fonti?

AF: Per noi è molto semplice, avendo anche un negozio di prodotti di agricoltura biologica evidentemente noi siamo quelli che provvediamo a far arrivare i prodotti biologici ai nostri concittadini viterbesi. Quindi diciamo noi abbiamo creato, o meglio, mia moglie ha creato una rete di produttori che forniscono questo negozio, e chiaramente quando, soprattutto sul fresco, quando i prodotti non ci sono nella nostra regione, il Lazio, abbiamo rapporti con i produttori siciliani o calabresi, che forniscono il resto della produzione, per cui tu hai il prodotto chiaramente tutto l’anno, seguendo la stagionalità delle varie parti dell’Italia.

LF:Ma quindi tu il supermercato non sai che cos’é.

AF: No il supermercato lo frequentiamo poco, diciamo. Non abbiamo un grande bisogno di andare al supermercato, perché il supermercato non ci dà grandi opportunità a noi, ecco, diciamo.

LF:Senti, a scuola se si pigliano dei libri di testo, poi soprattutto delle elementari, quando ci sono, oppure degli opuscoli che girano, che vengono fatti dalle istituzioni pubbliche, si parla dell’agricoltura e si vede la fattoria, gli animali, il contadino. Una situazione un po’ bucolica, un po’ da pubblicità. Poi in realtà basta fare un po’ di ricerche e si scopre che in realtà quella agricola è un’industria e che c’è stata una rivoluzione enorme per cui, oggi, in realtà non esiste più quel contadino lì, col trattorino, la mucca, che si vede nelle pubblicazioni, ma in realtà esiste una vera e propria industria. E si dice che il punto di passaggio è stata la rivoluzione verde, che ha cambiato e rivoluzionato l’agricoltura. Ci puoi spiegare, in maniera semplice, che cos’è, cosa è stata, che cos’è oggi la rivoluzione verde, e che cosa effettivamente è cambiato dalla fattoria di una volta all’industria di oggi.

AF: Diciamo che i sistemi di informazione, le scuole, i giornali, danno un’idea dell’agricoltura sfalsata da quello che c’è intorno a noi. Perché è vero che c’è stata anche una rivoluzione verde in questo Paese, però è vero che in Italia ci sono tante agricolture. Noi non abbiamo “l’agricoltura italiana”, abbiamo molte agricolture che convivono. Continuiamo ad essere un Paese incredibilmente contadino, nascosto, ma esistono ancora i contadini in questo Paese. Nello stesso tempo siamo un Paese in cui intere aree sono state completamente stravolte da sistemi intensivi di produzione che hanno fatto scomparire l’azienda contadina, per andare nei processi prettamente agroindustriali, dove i rapporti, ad esempio tra l’animale e la terra, sono totalmente scomparsi. Noi vediamo come si è voluta tutta l’industria zootecnica, vediamo che è stato teorizzato il fatto che gli animali non dovessero avere più rapporti con la terra, gli animali non dovessero neanche più essere, per esempio, delle vacche, dei ruminanti che andavano al pascolo a mangiare l’erba, ma sono sempre nello stesso posto a mangiare dei pastoni che vengono fatti dall’uomo. Ecco questo tipo di agricoltura, che è, tra l’altro, l’agricoltura che oggi è più in crisi, che oggi è drammaticamente dipendente dal sistema del petrolio, perché è un’agricoltura che nasce e si sviluppa sull’idea che l’energia esterna all’azienda è gratis ed è inesauribile. È l’ideologia che potevamo accedere alle fonti fossili quanto volevamo, ed è un’agricoltura che è totalmente dipendente dalle fonti fossili. Quindi è un’agricoltura che non ha futuro, perché non è un’agricoltura che può essere, come dire, passata ai nostri nipoti, perché i nostri nipoti non avranno a disposizione quelle fonti fossili di energia. Quindi è un’agricoltura totalmente energivora, un’agricoltura che dal secondo dopoguerra in poi, è passata ad essere, da un elemento che dava energia al sistema, cioè io coltivavo un campo di grano, e l’energia che ci mettevo, il fatto di lavorare la terra, il fatto di portare il letame in quel terreno, l’energia che ci portavo era inferiore a quella che ricavavo dal raccolto di quel grano. Il pane che poi facevo, la pasta che poi facevo, mi davano più energia di quanta ne avevo messa per coltivarlo. Oggi il rapporto è drammaticamente cambiato, oggi ci vuole 5 volte, almeno, di energia rispetto a quella che poi ricaviamo, e questo sistema non ha futuro, fondamentalmente. Allora noi dobbiamo, e per fortuna invece continua ad esistere un’agricoltura, possiamo anche definirla di resistenza, un’agricoltura che ha saputo anche innovarsi, non è l’agricoltura del nonno, ma è un’agricoltura che ha saputo innovarsi, è un’agricoltura che ha capito che quel modello era insostenibile e dovevamo cercare un modello che invece avesse la possibilità di essere tramandato ai nostri nipoti.

Per rivoluzione verde, normalmente si intende l’introduzione, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, di nuove sementi migliorate che avevano come, diciamo, da una parte il vantaggio che erano sementi molto più produttive, quindi l’idea che produciamo molto di più per ogni ettaro di terra, sfamiamo molte più persone, abbiamo risolto la fame nel mondo. Però erano sementi che erano state migliorate in funzione di un processo tecnologico che richiedeva tantissimi fertilizzanti chimici, pesticidi e diserbanti, c’é un sovrappiù, torniamo a parlare di energia, ma un sovrappiù anche di mezzi economici per comprare queste cose, destinati dagli agricoltori che erano poveri, che avevano pochissimi mezzi finanziari in mano, che nel momento in cui dovevano utilizzare queste sementi, e stiamo parlando degli anni Settanta, queste nuove sementi che avrebbero raddoppiato le loro produzioni, però allo stesso tempo li mettevano nelle condizioni di essere totalmente dipendenti dal sistema di credito che gli doveva anticipare tutti i soldi fino alla fine dell’annata, perché io semino oggi e raccolgo fra sei mesi, fra sette mesi. Chi mi dà questi soldi, il sistema creditizio, ma se l’annata va male? Se il monsone in India non è quello che mi aspettavo? Io rimango con una montagna di debiti, e questo ha prodotto, nel tempo, a poco a poco, che sempre più contadini si sono indebitati e hanno perso la loro terra, perdendo la loro terra sono diventati operai di altri grandi proprietari a casa loro. Il fenomeno recentissimo, di questi anni, fenomeno sociale dei suicidi degli agricoltori indiani che avevano perso totalmente quello che era la propria ragion d’essere, è una drammatica testimonianza di questo processo.

Allora tutto il Sud del mondo che è stato drammaticamente, diciamo, coinvolto in questo, che ha conosciuto sicuramente un aumento spropositato di produzione, ma se poi andiamo a vedere i numeri, oggi, abbiamo più persone che non accedono a sufficiente cibo di quanto ce n’avevamo negli anni Settanta. Quindi è incredibile che dopo tutto questo il risultato è che oggi la FAO ci dice abbiamo un miliardo di persone che soffrono la fame, se nel ’96, quando hanno fatto il primo vertice mondiale dell’alimentazione, ne avevamo 870 milioni e tutti i capi di Stato si sono messi come obiettivo quello di dimezzare, tra l’altro non un obiettivo di azzerare le persone, ma di dimezzare, fu famoso Fidel Castro che rimproverò tutti “ma come? Come obiettivo ci diamo solo di dimezzare i morti di fame in questo mondo? È immorale”. Bene, quell’obiettivo è lontanissimo, perché dopo 13 anni noi siamo in una situazione in cui addirittura sono aumentate il numero di persone che soffrono la fame. È incredibile. Quindi tutto quel modello, quel modello che doveva rivoluzionare il problema, e quindi doveva, appunto rivoluzionare, doveva risolvere il problema della fame nel mondo lo ha peggiorato. Drammaticamente peggiorato. In Europa il discorso è diverso, diciamo, in Europa la rivoluzione agricola nasce col Secondo Dopoguerra, coll’avvento, in maniera importante, dei fertilizzanti chimici, e a poco a poco lo sviluppo dell’industria petrolchimica che ha determinato l’inserimento dei pesticidi, dei diserbanti, insomma l’industria farmaceutica si sviluppa in quegli anni, quindi.

LF: Che sembra quasi, è la domanda dopo però mi viene da farla adesso, che tutto questo sia in qualche modo stato anche pianificato per ricollocare degli enormi quantitativi di scarti di lavorazione del petrolio. Cioè qualcuno si è inventato il modo per recuperare gli scarti immensi, i fanghi, eccetera.

AF: Guarda non so questo, però sicuramente quello che è successo è stata un’espropriazione culturale dal mondo contadino, che aveva in sé la conoscenza e il controllo del processo produttivo, è stato espropriato ed è stato portato all’agroindustria. Quindi chi aveva il controllo di tutto il processo produttivo e chi produceva la semente, chi produceva il pesticida e chi produceva il diserbante. Questo non è mai stato così in agricoltura, in 10.000 anni di agricoltura. Chi aveva in mano il processo produttivo era il contadino che conosceva il proprio territorio e sapeva come doveva gestire la propria terra, la fertilità dei propri suoli per migliorare la propria produzione. Ed è sempre lui che ha selezionato il seme, perché non è che il seme cha abbiamo noi adesso è lo stesso che c’era 10.000 anni fa. E quel processo di selezione l’hanno fatto i contadini, ovunque nel mondo.

LF:Senti, gli effetti negativi della rivoluzione verde, chiamiamola così, secondo te sono più gravi gli effetti negativi di tipo ambientale, quindi dall’ipersfruttamento di alcune risorse alla contaminazione delle stesse, o di altre risorse, o tutto sommato sono più negativi gli effetti culturali, nel senso che si è espropriato culturalmente un intero mondo, e un altro intero mondo anche in qualche modo, perché anche l’intero mondo del consumo è stato espropriato, perché c’è stata una separazione totale tra la produzione e il consumo, entrambi hanno patito le conseguenze di tutto questo.

AF: Guarda io credo che vanno di pari passo, è difficile dire “è più grave questo piuttosto che quello”, uno è figlio dell’altro, il deterioramento del sistema ambientale è funzionale all’espropriazione culturale che abbiamo, e al problema sociale che ha creato tutto questo. Quindi sono dei processi che non sono scollegati, ma sono uno legato all’altro. Ed è interessante che, infatti, l’agricoltura biologica quando attacca il problema dal punto di vista di sostenibilità ambientale, immediatamente va a recuperare la funzione culturale e sociale dell’agricoltura. E infatti il grande dibattito oggi nell’agricoltura biologica è che, chi invece si ferma soltanto a sostituire degli input, “non ci metto l’urea, concime chimico, ma ci metto la pollina”, e non fa altro, quello a noi è un modello che non ci interessa, perché rimane, ed è, un modello di espropriazione culturale e sociale. Rimane un modello funzionale alla catena distributiva del supermercato. Ed è la grande battaglia che per esempio c’è negli Stati Uniti, nel movimento biologico, un biologico che è stato totalmente assorbito dalle grandi multinazionali, che vogliono un logo in più sullo scaffale, da chi invece rivendica un altro modello sociale, culturale e di distribuzione quindi.

LF:Ti faccio una domanda a risposta secca, così poi andiamo avanti, quindi un si o un no, quindi secondo te una mela biologica raccolta in Cile, messa dentro una vaschetta di polistirolo coperta di plastica, che vola in aereo fino al supermercato di Milano non può essere messa nel reparto Bio, perché non è più Bio o sì.

AF: Per legge sì, non basta però chiaramente. Per legge sì ma non basta, d’altronde la legge è sempre la legge dell’Europa che comunque è fondata su altri principi, però evidentemente non basta. Il biologico deve essere anche qualcos’altro, che sul discorso delle emissioni dobbiamo stare sempre più attenti, nel senso che, quei 14.000 km sicuramente hanno un impatto dobbiamo assolutamente calcolarlo, quindi è sempre meglio mangiarsi le mele italiane. Però non ci scordiamo che alcune forme di coltivazione non biologiche, anche del locale, a volte in termini di emissioni sono ben superiori di quei 14.000 km che si è fatta la mela. Quindi su questo c’è una piccola polemica sul “Kilometro Zero”, il kilometro zero nel biologico va benissimo, ma io voglio sapere qual è il processo di produzione che ci sta dietro, perché se mi vanno in mais intensivo, dove si consuma un sacco di acqua, con un sacco di concimi chimici, vabbé può essere anche a 20 kilometri da casa mia, ma in termini di emissioni quella mela sta meglio probabilmente del mais sotto casa.

LF:Va bene, senti io faccio sempre un po’ la parte del sentire comune, si dice, sui mass media o sui giornale, che invece l’agricoltura biologica non danneggia né la salute delle persone né l’ambiente, questo è un po’ quello che hanno in mente tutti.

AF: Per fortuna!

LF:Si dice anche, faccio un’altra premessa però per farti capire una cosa che ho capito anch’io, facendo queste interviste, ho cercato di fare delle interviste anche a persone dove ci fosse il nonno che faceva l’agricoltura di una volta, il padre che ha fatto l’agricoltura convenzionale e il figlio che è tornato al biologico, e invece facendo le interviste mi è stato fatto notare che è meglio dire “passato al biologico”.

AF: Passato, assolutamente.

LF:Perché il biologico non è un ritorno.

AF: È innovazione.

LF:Ma è innovazione. Quindi ti chiedo, ci dai una definizione di “che cos’è l’agricoltura biologica”, quali sono le caratteristiche principali e gli elementi di più facile comprensione.

AF: Allora, intanto l’agricoltura biologica è un modello di produzione e consumo. Quindi un modello che coinvolge il produttore che rivede il proprio processo di produzione, basandosi sulla sostenibilità ambientale, sulla biodiversità, sull’accesso alle risorse naturali, e nello stesso tempo prevede un cambio del modello di consumo perché chi consuma, consuma differentemente. Per questo parliamo di un modello, perché non funziona senza le due parti, senza una profonda conversione di chi produce ma anche una profonda revisione dei modelli di consumo da parte del cittadino, che appunto non è più un consumatore distratto, ma è qualcuno che ha fatto un ragionamento. Questa è la nostra, diciamo, forza oggi, per esempio, quando c’è la crisi economica. Perché oggi se c’era la crisi economica, e noi eravamo un prodotto di moda, salutista, nella scala dei valori eravamo il primo a saltare, come la seduta dallo psicologo. Oggi invece abbiamo fatto si che chi compra biologico ha fatto un percorso formativo, qualsiasi esso sia, anche solo leggendo le etichette, però ha fatto un percorso, non è mai distratto rispetto a questo, allora lui ha fatto quel tipo di percorso, che ripeto, è un percorso individuale o collettivo e può essere diversissimo. Ma l’ha fatto, e senza quel tipo di percorso il modello non funziona, allora questa è la vera, diciamo, grande innovazione dell’agricoltura biologica, aver rimesso insieme parti che erano state divise, perché nel modello agroindustriale chi produce e chi consuma non sono più in contatto, non è solo un problema di vendita diretta, è un problema di condivisione, perché anche quando io non riesco ad andare in cascina, in azienda a comprare, però in quel momento comunque sto condividendo un modello. Allora questa è stata la grande intuizione, e quello che ci fa essere diversi ad un certo punto, e innovatori. Perché allo stesso tempo chi sta in azienda deve essere innovatore, perché la sostenibilità non è un dato acquisito, è un dato che si sposta sempre in avanti. Un domani noi lavoreremo sempre di più sull’approvvigionamento energetico. L’azienda agricola biologica probabilmente avrà nell’approvvigionamento energetico la prossima frontiera, dipendere sempre meno dall’energia fossile. Noi non è che possiamo dire che non dipendiamo dall’energia fossile, i nostri trattori vanno a gasolio, i nostri agriturismi consumano ancora energia elettrica, però quanto dipenderemo da questo sarà la nostra prossima frontiera, probabilmente. E comunque anche in azienda, il fatto che io debba mantenere la fertilità del suolo, che è il mio pilastro, il pilastro dell’agricoltura biologica è mantenere e aumentare la fertilità dei suoli, perché è quello il capitale che io cedo ai miei nipoti. Per farlo e non è detto, non è scontato, devi sempre studiare una nuova rotazione, un nuovo modo di fare i sovesci. Il mondo cambia, prima avevamo molte più aziende zootecniche oggi ce ne abbiamo meno, abbiamo meno letame a disposizione.

Come risolvere questa cosa, allora questo significa che il biologico è ricerca, tantissima ricerca fatta tra l’altro dagli agricoltori. Quello che noi rimproveriamo al sistema di ricerca è che non capisce che la ricerca nel biologico è stata fatta dagli agricoltori, bisogna riconoscere il loro ruolo e bisogna lavorare insieme su questo. E questo è l’aspetto di innovazione, ma quello che è la vera rivoluzione è il modello.

LF:Chi è che garantisce, quale è il sistema di garanzia.

AF: La garanzia. Questo credo sia in assoluto il più grande fallimento del movimento del biologico. C’è una legge dell’Unione Europea, un regolamento europeo, che ci dice, in tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea, esattamente cos’è l’agricoltura biologica. Tra l’altro lo dice in maniera molto chiara, così come l’abbiamo detto prima noi. Una legge interessante sotto questo punto di vista perché riconosce il fatto che è più importante garantire la fertilità del suolo che il profitto dell’azienda, cioè il profitto dell’azienda viene in base al fatto che tu hai aumentato la fertilità del suolo, è uno dei pochissimi regolamenti europei che sottosta alle leggi della natura, e poi vengono quelli del profitto, e questa è una grandissima vittoria. E dice chiaramente cos’è l’agricoltura biologica, riconosce il nostro ruolo in difesa della biodiversità, importante per le comunità rurali. Accanto a questa definizione chiara, dice come va etichettata, cioè che cosa puoi scrivere sull’etichetta, cosa non puoi scrivere, in maniera molto chiara, per cui il consumatore può capire subito se quello è un prodotto veramente che rispetta l’agricoltura biologica o meno, e infine dice come vengono fatti i controlli, cioè i controlli non possono essere inventati, sono scritti e definiti dentro questa legge europea. E ogni Stato membro poi mette in pratica questi controlli. In Italia questo ha significato che si è sviluppata la certificazione privata, ovvero ci sono 15 enti di certificazione autorizzati dal Ministero dell’Agricoltura, e sorvegliati e vigilati nel loro quotidiano dalle venti Regioni italiane, che fanno l’attività di controllo e ispezione sulle 50.000 imprese che hanno notificato che loro fanno agricoltura biologica. E queste imprese vengono almeno visitate una volta all’anno, e possono essere controllate quante volte vuole l’ente di certificazione, perché firma un contratto in cui permettono l’accesso alla loro azienda quante volte vuole l’ente di certificazione, che è libero di raccogliere campioni sul prodotto, sulla terra, sulle foglie, sul prodotto trasformato, su tutto quello che vuole. Quindi oggi nell’agroalimentare italiano non esiste un prodotto più controllato di un prodotto da agricoltura biologica. Accanto a questo va detto proprio perché per quanto tanti siamo pochi, il sistema pubblico di verifica di prodotti agroalimentari, che comunque c’è, ovvero le ASL, i NAS, il servizio repressione frodi, tutti questi hanno un occhio particolare sul nostro sistema. Quindi noi siamo iperverificati. Diciamo, l’azienda agricola biologica, proprio perché è un’azienda che dichiara la propria diversità è sotto un’attenzione particolare da parte del sistema pubblico. Se dopo 18 anni che abbiamo questo regolamento continuiamo ad avere un sistema che tiene, fondamentalmente, dove, nonostante gli scandali alimentari in questo paese si siano succeduti uno dopo l’altro, il biologico continua ad essere un sistema sano, in questo sistema sano c’è sempre l’azienda che tenta di fregare, c’è sempre qualcuno che tenta di entrare, ultimamente avevamo preso nel Veneto gente che faceva delle uova convenzionali e le marcava come biologiche, però abbiamo proprio dei sistemi di autocontrollo molto forti di certificazione. Poi il fatto che l’azienda paga l’ente di certificazione, bisogna ricordarsi che tutti gli enti di certificazione funzionano così, sei sempre tu che paghi l’ente di certificazione perché è un soggetto privato. Va detto pure che è difficile che ci siano dei meccanismi ricattatori perché appunto, a fronte di 50.000 imprese, ci sono 15 enti di certificazione. Quindi diciamo che non è che dipendono da quell’azienda per il proprio fatturato. E poi ci sono talmente tanti controlli sugli stessi enti di certificazione che, diciamo, è abbastanza basso il rischio che l’ente di certificazione sia veramente accondiscendente su aziende che sono veramente fuori controllo. Oggi ancora la prima domanda che mi fanno in qualsiasi manifestazione di promozione per l’agricoltura biologica, noi facciamo la più grande manifestazione nazionale di promozione che è la BioDomenica, la prima domenica di ottobre di ogni anno, quest’anno è la decima edizione su ottanta piazze. E facciamo sempre interviste, alla radio, sui giornali, ma sempre, se c’è un filo diretto con i radioascoltatori, la domanda “ma ci possiamo fidare?” la fanno sempre. Allora questo è un fallimento, perché a fronte di un sistema così controllato, tu non puoi dopo 18 anni continuare a dover spiegare come funziona, significa che su quello abbiamo sbagliato.

LF:Senti, perché non è vero che costano di più i prodotti Bio, forse il problema è che sono gli altri costano troppo poco, o forse quando tu compri un prodotto da agricoltura convenzionale in realtà stai pagando soltanto un piccolo pezzo del prezzo di quel prodotto.

AF: E tu hai dato già la risposta, è proprio lì il problema, il costo e il valore del prodotto biologico sono due cose diverse. Allora il valore di quel prodotto biologico va al di là di quanto tu lo paghi in euro. Perché tu non stai soltanto comprando quella mela, ma hai comprato, comprando quella mela, hai sostenuto un processo produttivo che ha determinato che in quel territorio, dove quella mela è stata fatta, abbiamo rispettato la biodiversità locale, abbiamo garantito un paesaggio particolare che è anche il nostro valore, abbiamo garantito un reddito per quel produttore che lo sta facendo e non stai determinando dei costi nascosti, cioè non abbiamo inquinato. La mela convenzionale nasconde il fatto che oggi tu stai pagando di meno, ma di fatto, tramite le tue tasse, molti soldi che tu hai versato con le tue tasse, andranno a rimediare quei danni fatti da quella mela che ha inquinato un territorio, che qualcuno dovrà in qualche modo disinquinare. Allora questo è un elemento essenziale e centrale come discorso generale, cioè i prodotti agricoli non possono costare troppo poco, perché quando un prodotto agricolo costa troppo poco c’è sfruttamento del lavoro nero, e questo è un problema enorme anche in Italia e uno sfruttamento dell’ambiente. Cioè ci siamo mangiati delle risorse naturali che abbiamo rubato ai nostri figli e ai nostri nipoti. Allora questi due elementi determinano poi un prodotto che è venduto sottocosto, e quando è pagato troppo poco significa che quell’agricoltore non avrà un futuro. Quando il latte è pagato troppo poco significa che tra dieci anni avremo una stalla in meno, e se abbiamo una stalla in meno perdiamo parte della nostra cultura, perdiamo parte del nostro paesaggio, perdiamo parte della storia rurale italiana, che è la nostra storia anche. Allora questi sono gli elementi centrali. Poi c’è un altro problema tutto legato al biologico che continuiamo ad avere dei problemi di distribuzione per cui a volte il biologico è eccessivamente caro. Ma non perché è stato pagato troppo in azienda, ma perché i passaggi dopo l’azienda sono mal gestiti, con poca efficienza e quindi poi c’è un costo effettivamente e giustamente troppo caro.

LF:Che cos’è per te la sovranità alimentare.

AF: La sovranità alimentare è il mio diritto di godermi la possibilità di mangiare quello che voglio io, e quel mangiare che voglio io dietro c’è una società rurale che può continuare a vivere e a testimoniare ogni giorno che un altro modello di produzione e consumo è possibile.

LF:Perché la sovranità alimentare può essere la risposta ai problemi della fame, del sottosviluppo, e di tutto quello di cui si parla alle Nazioni Unite.

AF: Perché la sovranità alimentare rimette al centro l’importanza del contadino, dell’agricoltore che produce cibo e lo produce per il proprio mercato locale. E i mercati locali sono gli unici che veramente possono dare accesso al cibo per tutti. La favola che c’è qualcuno da qualche parte del mondo che possa alimentare tutto il mondo è una bugia grossolana. Quel modello che è il modello agroindustriale è fallito perché è quello dominante e produce un miliardo di persone che soffrono la fame. Oggi invece dobbiamo dare la possibilità a tutti i contadini di accedere alle proprie risorse, alla terra, all’acqua, alla biodiversità, produrre, e possono produrre per tutti. Dare accesso al cibo giusto e culturalmente legato alle proprie tradizioni a tutti quanti. Questa è la sola risposta che permetterà a tutti veramente di accedere al cibo.  

 

Per approfondire:

Portale dell'Associazione Italiana Agricoltura Biologica (AIAB)

Rete semi rurali - Rete per la conservazione dell'agrobiodiversità in Italia

 

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